Mio fratello è iraniano (i perché di una rivoluzione)

Di Parisa Elahi – Piano, piano il mondo si accorge che in Iran la protesta non è come in molti la pensavano, non è politicizzata, non risponde alle logiche della realpolitik come le intendeva Henry Kissinger, cioè anteporre gli obbiettivi concreti alle questioni di principio. In Iran si è di fronte a una nuova rivoluzione dove l’obbiettivo sono proprio i principi.

In questi giorni ho assistito sgomenta alle durissime repressioni del regime degli Ayatollah sui miei fratelli iraniani scesi in piazza per chiedere i loro Diritti, non per questioni di politica o per contestare una unica persona. Certo, il dittatore Ahmadinejad è il simbolo del potere clericale degli Ayatollah, ma è solo una marionetta nelle loro mani. L’obbiettivo reale è il clero corrotto che da trentanni tiene in mano il paese facendolo affogare nell’ignoranza e nell’integralismo medioevale che impone regole non scritte ma create apposta per soggiogare e annullare le menti.

L’Iran è l’unico paese dove ogni quattro anni si va a votare per eleggere un Parlamento e un Presidente che alla fine non contano niente. A prendere le decisioni importanti sono gli Ayatollah che compongono il clero e che fanno capo alla guida suprema, Ali Khamenei. E’ la costituzione a dirlo, quella stessa costituzione voluta e scritta proprio dal clero la quale sancisce il principio di “velayet-e faqih”, cioè il Diritto del giurista islamico a governare. E chi è il giurista islamico se non la guida suprema? Fu Khomeini a introdurre questo principio completamente estraneo alla tradizione sciita che, nel corso dei secoli, non aveva mai previsto un ruolo politico per il clero. Ecco contro cosa combattono i miei fratelli in Iran, contro un potere corrotto che non avrebbe ragione di esistere ma che da trentanni tiene l’Iran sotto il giogo di una autorità islamica che vive una realtà distanti anni luce da quella della società civile iraniana, una distanza abissale che emerge prepotente in questi giorni.

Il clero adesso a paura di perdere il potere, tanta paura da ordinare una durissima repressione durante la Ashura, una cosa che non aveva mai fatto neppure lo Scià. Addirittura sono arrivati a dissacrare i corpi delle persone uccise durante la manifestazione di domenica, sottraendo i corpi alle loro famiglie e non permettendo i funerali entro le 24 ore, come prevede l’usanza islamica, per paura di nuovi disordini. Una cosa questa che ha turbato persino i più ortodossi tra i credenti, quelli cioè che formano la base del potere clericale.

Ma se è io conosco bene i miei fratelli iraniani so benissimo che non saranno queste cose a fermali, non saranno le centinaia di arresti, le torture in carcere, le uccisioni sommarie. L’onda verde, ormai diventata un mare in tempesta, non si fermerà. La frattura tra il potere clericale e il popolo è ormai insanabile. Non sono in grado di fare previsioni temporali, non credo che ci sia qualcuno in grado di farlo, ma ormai la miccia è innescata e la fiamma che arde sotto le ceneri di Teheran non potrà essere spenta.

Per questo vorrei che l’occidente, che la gente europea, prendesse coscienza di questo e che aiutasse il popolo iraniano a disfarsi del giogo degli Ayatollah e a riprendere in mano il proprio destino. Vorrei che i principi per cui si battono i miei fratelli in Iran fossero anteposti agli obbiettivi concreti della realpolitik. Ancora, a parte poche dichiarazioni di forma, non ho visto nella politica europea niente che mi faccia pensare che l’Europa è pronta ad aiutare il popolo iraniano. Mi sembra più che stia alla finestra a guardare cosa succede piuttosto che diventare parte attiva del cambiamento come invece il popolo iraniano avrebbe bisogno. Vorrei che oggi ogni singolo europeo si sentisse idealmente fratello del popolo iraniano. Vorrei che ognuno di voi dicesse: mio fratello è iraniano.

Parisa Elahi, 35 anni, è una dissidente iraniana fuggita dall’Iran nel 2007. Dal 2008 risiede in Italia e collabora con Secondo Protocollo in un progetto di accoglienza e protezione delle donne islamiche in fuga da regimi misogini. Tiene i contatti con i dissidenti iraniani in tutto il mondo.