Barack Hussein Obama, il Presidente più islamista della storia americana, ha talmente tanta paura che Israele attacchi le centrali nucleari iraniane che ha ordinato ai media a lui vicini di avviare una campagna senza precedenti per nascondere la sua incredibile indecisione (o incapacità) nei confronti della questione del nucleare iraniano. In prima fila ci troviamo il New York Times.
Una settimana fa il NYT fa uscire dal cilindro un “ipotetico rapporto” nel quale afferma che “il Mossad avrebbe detto che l’Iran non punterebbe alla bomba atomica”. Un chiaro falso inventato dal nulla e senza alcun riferimento a fonti israeliane (nemmeno anonime), che però ha avuto il suo peso nella opinione pubblica di sinistra americana. Pochi giorni dopo sempre il NYT fa uscire la notizia che il Pentagono avrebbe fatto una simulazione di guerra contro l’Iran disegnando scenari apocalittici. Infine cala l’asso da novanta con un editoriale di Bill Keller (ripreso ieri anche da Repubblica) nel qule l’ex direttore del NYT attraverso cinque domande avanza dubbi “di convenienza” su possibili interventi militari americani in Siria e in Iran, una difesa sottile e intelligente delle posizioni di Barack Hussein Obama tendenti però, palesemente, a nasconderne le debolezze.
Non starò, chiaramente, a contestare punto per punto il lunghissimo editoriale di Bill Keller anche se andrebbe fatto con molta attenzione, mi soffermerò sinteticamente sulle ultime tre domande, quelle che più di tutte svelano veramente l’incompetenza di Barack Hussei Obama e della sua amministrazione in politica medio-orientale cercando di nasconderla con motivazione “pratiche” che però, ai più attenti non sfuggirà, sono in effetti un vero e proprio boomerang.
La terza domanda che pone Keller a Barack Hussein Obama è: quale alternativa? Qui c’è una bella sviolinata al Presidente islamista americano, quando dice che «chi prende le decisioni al vertice dovrebbe – come ha fatto per più Obama – valutare con la massima attenzione le alternative alla guerra», opinione certamente condivisibile se non fosse che Obama queste “alternative” non le ha mai valutate nemmeno quando l’America è stata tirata per la giacca nell’attacco alla Libia. Keller vuol far credere che il “restare dietro alle quinte” dell’America sia stata una scelta azzeccata di Obama quando in effetti altro non è stato l’atteggiamento di chi si trova davanti a fatto compiuto sapendo che non può tirarsi indietro ma non vuole intervenire direttamente. E poi, fatto questo, va all’attacco e dice che Barack Hussein Obama, naturalmente dall’alto della sua intelligenza tattica dimostrata in Libia, preferisce affrontare la questione iraniana con l’applicazione di sanzioni affermando poi, non si sa bene su quale base, che le sanzioni “stanno funzionando”. Qualcuno dovrebbe provare a spiegare a Keller che gli unici a risentire delle sanzioni sono i poveracci che abitano l’Iran. Il programma nucleare non ne ha risentito, l’Iran continua a finanziare gruppi terroristici di mezzo mondo, a comprare alta tecnologia e armi mentre la nomenclatura religiosa si è addirittura rafforzata dopo le ultime elezioni parlamentari. Ma questi dati Keller non li prende nemmeno in considerazione. No, lui dice che le “sanzioni funzionano” perché dire a verità vorrebbe dire che Obama sta fallendo clamorosamente.
La quarta domanda è: con chi? In guerra non ci si va da soli dice Bill Keller. Secondo l’ex direttore del NYT quindi Obama non può intervenire in Siria e in Iran perché non c’è nessuno disposto ad aggregarsi all’intervento. A questo siamo ridotti? La più grande potenza del mondo che non interviene per salvare il massacro in Siria o per fermare un regime genocida perché lo deve fare da sola (che poi è una falsità clamorosa) e per questo ha paura? Hanno ragione gli Ayatollah a irridere l’America. Questa è la dimostrazione clamorosa che Obama non ha le palle per fare il Presidente USA.
La quinta domanda è forse la più subdola sotto l’aspetto della sviolinata a Obama. Recita: e poi? Insomma, cosa succede dopo? Quali effetti ci saranno dopo un intervento in Siria o in Iran? Anche in questo caso la domanda è giusta perché chiunque organizzi una guerra deve anche organizzare un “dopo guerra”, cosa che per esempio non ha certamente fatto Bush quando ha attaccato Afghanistan e Iraq. Ma se la domanda è giusta le conclusioni a cui arriva Bill Keller sono quantomeno fraudolente perché cercano ancora una volta di nascondere la profonda incapacità in politica estera di Obama. Sulla Siria Keller dice che “non c’è una opposizione organizzata”, cosa che per altro non c’era e non c’è nemmeno nella Libia del “miracolo obamiano”. Quello che però Keller si guarda bene dal dire è che una “grande potenza” qual è l’America avrebbe dovuto organizzare una opposizione seria e coerente ad Assad già da diverso tempo, appoggiarla ed armarla perché la Siria nello scacchiere medio-orientale non uno Stato qualsiasi, è di fondamentale importanza. Insomma, non è uno staterello da due soldi. Ma Barack Hussei Obama era troppo impegnato nelle cosiddette “primavere arabe” che hanno portato a potere l’islam integralista in tutto il Maghreb per pensare a organizzare come si doveva l’opposizione siriana. E così adesso si cerca di nascondere questa mancanza con argomenti semplicemente ridicoli. Che dire poi del capitolo dedicato all’Iran? In quel caso che una opposizione seria c’è (anche se non viene aiutata) si tirano di nuovo fuori gli errori commessi in Iraq quando false informazioni portarono alla conclusione (errata) che Saddam avesse armi di distruzione di massa. Da quello si parte per dire che “non ci sono prove che l’Iran stia costruendo armi atomiche” e, mentendo spudoratamente, si afferma che ci sono gli ispettori dell’AIEA a controllare. Prima di tutto a dire che l’Iran sta costruendo armi atomiche è la stessa AIEA nel suo ultimo rapporto di pochi giorni fa, e poi gli ispettori non possono andare dove vorrebbero ma sono costretti a fare i firi turistici imposti dal regime iraniano. E questo, secondo Keller, sarebbe un “controllo degli ispettori dell’AIEA”. In conclusione, attaccando l’Ira si rischierebbe di fare lo stesso errore fatto in Iraq. Una falsità davvero clamorosa che però attecchisce parecchio nell’opinione pubblica americana della sinistra obamiana.
Concludendo, il New York Times sta diventato sempre più la bocca delle menzogne di Barack Hussein Obama, menzogne che sono tutte volte a nascondere l’incompetenza, la debolezza, la vigliaccheria e il profondo amore per l’Islam di questo Presidente che fino ad oggi ha combinato solo disastri consegnando mezzo mondo all’islam integralista.
Sharon Levi