Somalia: Kenya ed Etiopia pensano ad un intervento. Sarebbe un dramma

Secondo Makau Mutua, esperto analista keniota che scrive su diverse testate importanti, la Somalia è “il cancro in seno all’Africa che deve essere asportato” e sarebbe un dovere per il Kenya intervenire contro le milizie islamiche somale di Al-Shabaab prima che sia troppo tardi e siano gli Al-Shabaab stessi a distruggere il Kenya.

La stessa idea espressa da Makau Mutua viene ripresa anche in Etiopia da altri analisti che vedono nelle milizie islamiche che controllano praticamente oltre l’80% della Somalia un vero e proprio “pericolo esistenziale”. Sono in molti a rinfacciare al governo etiope di essersi ritirato troppo presto dalla Somalia lasciandola in pratica alla mercé di Al-Shabaab compromettendo così il nuovo Governo provvisorio somalo e alimentando quello che Makau Mutua chiama il vero cancro africano.

Nelle ultime ore sia in Kenya che in Etiopia si sono rifatti vivi gli interventisti specie dopo l’eliminazione del capo di Al Qaeda in Somalia, Mohammed Abdullah Fazul, eliminazione che ha seguito di poco quella altrettanto importante (ma di cui si parla pochissimo) di Saleh Ali Saleh Nabhan, cioè uno degli operativi più attivi del gruppo terrorista fondato da Osama Bin Laden.  Secondo gli interventisti questi due colpi hanno fiaccato gli Al-Shabaab a tal punto da rendere quasi una passeggiata un eventuale intervento armato al fianco dell’esercito regolare somalo.

In effetti gli Al-Shabaab sono tutt’altro che fiaccati. Certo, la morte di Mohammed Abdullah Fazul ha generato un certo sconcerto e non è escluso che le linee di comando siano in parte saltate, ma sarebbe ridicolo e diminutivo pensare che tutto il sistema di comando degli Al-Shabaab si basasse esclusivamente sulla figura di Mohammed Abdullah Fazul. Infatti, una delle prime cose che imparano i leader di Al Qaeda è quella di nominare un loro successore quando ancora sono in vita, ben sapendo che la loro esistenza è appesa ad un filo.

Nonostante tutto questo sia più che evidente, nei giorni scorsi ad Addis Abeba si respirava aria di intervento in Somalia. La stessa Clinton, presente nella capitale etiope per partecipare alla riunione dell’Unione Africana, non escludeva un cambio di strategia americano in Somalia, magari attraverso un “sostegno esterno” ad una coalizione di volenterosi (ancora questo assurdo termine) formata da Kenya, Etiopia e forse Uganda (già impegnata in Somalia con la forza di pace dell’Unione Africana). Il rischio sarebbe però quello di unire gli Al-Shabaab invece che approfittare del loro momento di sbandamento. Eppure la storia somala dovrebbe insegnare qualcosa.

Ma il gruppo degli interventisti aumenta e acquista sempre più potere, soprattutto in Kenya dove rinfacciano al Governo di essere rimasto immobile mentre cresceva il pericolo somalo. La “bibbia” degli interventisti keniani sembra essere il libro scritto da Thomas Hobbes intitolato “The Leviathan” dove il filosofo inglese parla della società somala governata dagli Al-Shabaab come di un sistema che porterà il continente africano ad una “guerra di tutti contro tutti”  e per questo andrebbe eliminata. Ora, posto che personalmente considero gli Al-Shabaab come un gruppo da combattere e, possibilmente, eliminare, da qui a scatenare un’altra guerra in Somalia (l’ennesima) per arrivare a questo obbiettivo, ce ne passa. Non fosse altro perché la situazione umanitaria in Somalia è a livelli disastrosi e un allargamento del conflitto vorrebbe dire morte certa per decine di migliaia di persone.

La situazione non può essere risolta con l’ennesima guerra umanitaria dove a morire sono sempre quelli che invece andrebbero aiutati. A mio modestissimo parere sarebbe molto più utile continuare con le azioni mirate (come quella che ha eliminato Mohammed Abdullah Fazul) abbinate a un serio controllo sull’afflusso di armi e denaro verso gli Al-Shabaab, controllo che al momento non viene effettuato o, se viene fatto, avviene in maniera del tutto ininfluente specie con i rifornimenti di armi dal mare e dall’Eritrea. Ed è proprio sull’Eritrea che si dovrebbe agire con decisione per tagliare i rifornimenti ai terroristi somali. Solo così si potranno fiaccare.

Insomma, scatenare un’altra guerra in Somalia già devastata da un conflitto continuo che va avanti da decenni sarebbe a livello umanitario una tragedia. E se la storia insegna qualcosa (e dovrebbe) non sarà con un conflitto su larga scala che si elimineranno gli Al-Shabaab e il pericolo terroristico che aleggia sull’Africa. Meglio sarebbe mettere in campo, seriamente e una volta per tutte, quell’insieme di azioni mirate volte a fiaccare i terroristi senza per questo aggravare la già drammatica situazione del popolo somalo.

Franco Londei